Ho praticato sport a livello agonistico: sono stato un discreto sciatore, un ottimo navigatore professionista nei rally e ho partecipato a gare di endurance a cavallo. So cosa succede nella testa di un atleta prima, durante e dopo una gara.
Sono stato analista finanziario e manager, ho fondato e diretto imprese innovative. So cos’è lo stress e cosa vuol dire lavorare sotto pressione per raggiungere un risultato economico.
Per conoscere meglio la mia carriera manageriale e imprenditoriale puoi leggere il mio profilo su Linkedin. Sono anche co-autore, insieme a Marco Fratini, di tre libri editi da Rizzoli.
Sport e finanza sono mondi strettamente correlati perché gli attori sono accomunati dalla necessità di gestire stress, pressione e tensione nella ricerca di performance eccellenti.
Perché nello sport, come nel business, contano i risultati e, ancor di più, come li raggiungi.
Ecco, lo scopo del mio lavoro è nel “come”: massimizzo le prestazioni dei miei coachee (high performance), puntando anche al loro benessere (health).
Quando penso al lavoro del performance coach mi viene subito in mente la metafora della matita: “Se prendete in mano una matita e la spezzate questa si spaccherà facilmente perché da sola è fragile, ma se unite insieme due matite vedrete che sarà molto più difficile romperle.”
Da soli, siamo unici e speciali, ma quando ci uniamo e lavoriamo insieme, possiamo superare congiuntamente ogni difficoltà e diventare più forti per raggiungere più facilmente gli obiettivi che ci prefissiamo.
Il performance coach non è altro che una seconda matita. È una guida, un allenatore mentale, un professionista che aiuta le persone a migliorare il proprio mindset, la propria performance e la gestione emotiva di ciò che gli accade.
Accolgo i miei coachee in un concetto di partnership che io ho definito “cella protetta” dove si possano sentire tutelati ed esprimere liberamente ciò che hanno dentro, in assenza di giudizio e critica.
Sono stato navigatore professionista di ottimi piloti che mi hanno sempre riconosciuto una particolare sensibilità, grande capacità di ascolto e comprensione delle loro necessità e questo è fondamentale per essere un buon coach.
A loro chiedo molto perché do molto, fondando il nostro rapporto sulla responsabilità reciproca che associo alla “presa del trapezista”. Se uno dei due molla l’altro è sempre in sicurezza.
Il divertimento per me non è un optional, ma uno stile di comportamento utile alla performance.
Credo nel lavoro di qualità e nella passione che sono sempre stati i driver principali della mia attività.
Creo percorsi grazie ai quali atleti professionisti, sportivi, manager, imprenditori possono raggiungere gli obiettivi desiderati.
Non faccio miracoli.
Non trasformo dei cancelli in velocisti con formule e pozioni magiche.
Non ci sono scorciatoie, ma con impegno e disponibilità mentale ognuno può raggiungere il proprio monastero in cima alla montagna.
Non sono un guru, non amo stare sul pulpito a dispensare insegnamenti. Sono un coach al servizio del mio “atleta”.
Anche quando lavoro con manager, professionisti o imprenditori, li tratto come atleti, perché lavoro sul processo e sulla prestazione che ognuno di loro mette in campo quotidianamente anche se non fanno allenamenti e giornate di riposo.
In ogni impresa (sportiva o imprenditoriale) l’eroe protagonista è sempre la persona. Il coach è l’alleato (il druido) che offre gli strumenti giusti e il supporto necessario ad ogni coachee per compiere un’impresa al meglio delle sue potenzialità.
Credo nell’unicità delle persone come elemento distintivo irrinunciabile per ottenere i risultati desiderati.